Confesso, in famiglia la donna sono io
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TOM MERTON VIA GETTY IMAGES
Mi sono reso conto recentemente di essere una donna. No, non
è questione di inclinazioni sessuali o di genere, mi riferisco a una questione
di ruolo sociale o forse familiare.
Esiste una fascia di uomini - che non so quanto vasta, ma a
cui appartengo - che ritiene normale occuparsi almeno al 50%, e se serve anche
più, di tutte le
attenzioni e cure necessarie non soltanto per i figli, ma in generale per le
persone con cui viviamo, per la nostra famiglia.
Sono cresciuto in una famiglia che si poteva definire
normalissima, per l’epoca. Mio padre era autista in un’azienda pubblica di
trasporto, mia madre aveva scelto di smettere di lavorare dopo il matrimonio, a
metà degli anni Sessanta, e di fare insomma la casalinga. Avrebbe poi rimpianto
in parte quella decisione, sia per uscire più spesso di casa e frequentare
anche altri ambiti e persone diverse, sia per una ragione economica, visto che
lo stipendio di mio padre è stato poi eroso negli anni dall’inflazione.
Ma un insieme di fattori - la personalità dei genitori,
scelte politiche, le donne con cui abbiamo messo su famiglia, anche il caso -
hanno fatto sì che sia io che mio fratello, oggi, non solo siamo capaci di fare
praticamente tutto in casa, dalla cucina alla lavanderia (confesso: non so
stirare, ma faccio la pasta all’uovo a mano), ma ce ne occupiamo costantemente,
così come ci occupiamo dei figli, sin dall’epoca dei pannolini e
dell’allattamento artificiale.
Non ci aspettiamo applausi per questo. Lo riteniamo normale,
non siamo eroi né ci sentiamo sviliti nel nostro “orgoglio maschile”, qualsiasi
cosa quest’espressione significhi. Non ci sentiamo nei panni di Freddie Mercury
che canta “I Want To Break Free” in un celebre video, insomma.
A sentire un certo numero di donne, dal vivo e anche nei
talk show televisivi, non sembrerebbe così, però. Per questo, sono arrivato
alla conclusione di essere una donna anch’io.
Provoco, certo. Ma neanche così tanto. Qualche anno fa, la
mia figlia maggiore, che aveva sette anni, c’interpellò per un compito. C’era
da scrivere una lista di “azioni”, con un verbo, da associare a un soggetto.
Che fa la bandiera? Sventola.
Le prime due frasi riguardavano la mamma e il papà. Che fa
la mamma? Stira, voleva rispondere mia figlia, ma in realtà non aveva mai visto
la madre stirare: “Però si sa che le mamme stirano... allora scrivo che
cucina”. A casa, però, cucino quasi sempre, o molto spesso, io. Finì con “mamma
cucina, papà guida”, salvando così i ruoli tradizionali. O meglio, stereotipi
in parte alimentati dalle maestre, in parte dal libro di testo (e anche dalle
famiglie di altri compagni di classe).
Certo, dice l’Istat, le donne con figli piccoli, fino a 14
anni, lavorano meno dei loro mariti (il 57%, contro oltre l’89%). Certo, diceva
una ricerca Censis di qualche anno fa, le donne con un lavoro hanno quasi 7 ore
di tempo libero in meno rispetto agli uomini perché si occupano prevalentemente
delle “faccende domestiche”.
Certo - ed è un grossissimo problema - mancano asili nido e
i cicli scolastici andrebbero ripensati, soprattutto con una così lunga estate
da gestire che finisce per pesare quasi sempre sulle donne.
Ma, appunto, bisogna cominciare a ribaltare gli stereotipi,
e questo spetta anche alle donne, che talvolta rischiano invece di essere più
maschiliste dei maschi. Per far sì che tutti partecipino al lavoro domestico, figli compresi.
Negli ultimi anni infatti, ricordava sempre il Censis, si
sta raggiungendo una sorta di eguaglianza al negativo: la metà delle ragazze e
oltre il 60% dei maschi non fa alcun lavoro domestico. Insomma, più che
coinvolgere i figli maschi, si finisce per deresponsabilizzare le figlie.
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