Trovare lavoro grazie agli amici: essere raccomandati è giusto o no?
Essere raccomandati per trovare lavoro può essere sbagliato, ma anche no. Dipende sostanzialmente dal tipo di raccomandazione.
E’ ormai l’ennesima volta che gli enti
di ricerca più accreditati (questa volta è toccato addirittura all’Istat)
certificano che il canale più efficace per trovare lavoro in Italia sono gli
amici, o per meglio dire le conoscenze.
Attenzione però a dire “l’Italia è il Paese delle raccomandazioni”. Vero
o no qui la questione è un po’ più complessa; affidarsi a parenti, amici ed
affini è, a quanto pare, la via più facile e veloce per trovare lavoro. Ma è
giusto o no sfruttare le proprie reti per ottenere un impiego? Indubbiamente
sì, casomai la domanda sulla quale potrebbero sorgere dei dubbi è un’altra. E’
giusto che un’azienda o chi per essa assuma tramite reti di relazione?
Di primo acchito si potrebbe rispondere
di no, richiamando appunto il concetto di raccomandazione, ma anche qui c’è da
riflettere non poco. Esistono almeno due tipi di raccomandazioni. Quelle che
potremmo chiamare “a prescindere” e quelle che invece possono essere definite
“utili” Le raccomandazioni a prescindere sono quelle che vengono fatte,
appunto, a prescindere da chi è il raccomandato. Che sia il miglior lavoratore
del mondo o un fannullone in questo caso diventa del tutto irrilevante. Chi
decide di “raccomandare” lo fa per il semplice fatto di volerlo fare, senza
interessarsi delle eventuali conseguenze sull’azienda nel caso la persona
raccomandata, amico, parente o conoscente che sia, sia inadatto al ruolo che
andrà a ricoprire o peggio gli manchi la voglia di lavorare o, peggio ancora,
sia pure un disonesto. Questo tipo di raccomandazione è palesemente sbagliata,
in quanto, con tutta probabilità, impedisce l’accesso al posto di lavoro a
soggetti qualificati per quello stesso posto e che (quindi) sono magari anche
più inclini ad impegnarsi maggiormente per il benessere aziendale (oltre che
per quello personale, che in una certa misura comunque corrisponde a quello
aziendale).
Quello appena descritto è un fenomeno
che va combattuto a tutto campo, sia economicamente che socialmente e
culturalmente. Una battaglia che certo in un paese come l’Italia che vive sulle
reti di relazione e con un concetto di “famiglia” molto sentito e fortemente
sviluppato non è per niente facile da combattere e più ancora da vincere. Ma il
lassismo su questo punto porta o comunque può a fenomeni aziendalmente
distruttivi. E poi ad andarci di mezzo sono tutti quelli che nella suddetta
azienda ci lavorano.
Trovare lavoro: la raccomandazione utile
Un secondo tipo di raccomandazione, se
così la si può chiamare, è quella che ha un’utilià concreta non solo per il
lavoratore che verrà assunto, ma anche per l’azienda che lo assumerà. Capita che ad esempio, ad un dipendente venga
fatta la fatidica richiesta: “Scusa ma tu conosci qualcuno che cerca lavoro?”
Ecco, nel caso questo qualcuno sia
affidabile e competente per un determinato ruolo, una simile segnalazione può aiutare sia la
persona in cerca che l’azienda, quest’ultima andrà infatti ad assumere il
soggetto adatto alla mansione da ricoprire. In questo caso si può
ragionevolmente sostenere che, sempre parlando in ambito di aziende private,
non ci sia nulla di male. Sostenerlo però, non significa che non esistano
obiezioni da prendere in seria considerazione.
Obiezione, vostro onore!
La più forte, concettualmente parlando,
è quella che un’operazione del genere esclude a priori da qualsiasi possibilità
le centinaia, se non migliaia di persone che a quell’azienda hanno spedito
curriculum, lettera di presentazione e quant’altro. Questo è pur vero, ma non
sempre. Non è detto infatti che anche nella moltitudine di cv presumibilmente
spediti all’azienda che sta cercando personale emerga la figura adatta
all’oggetto della ricerca. Il che non significa che nessuno di quelli che ha
spedito il curriculum sia la persona giusta (cosa che a dire il vero potrebbe
anche accadere), ma che questa “giustezza” non sia stata correttamente
trasmessa al selezionatore, che quindi può preferire un metodo più diretto e
sbrigativo, la chiamata per conoscenza.
Una seconda obiezione, anch’essa da
considerare concretamente, è quella che sostiene, completamente a ragione, che
la raccomandazione utile possa funzionare solo se chi raccomanda è una persona
affidabile, in grado di capire le esigenze dell’azienda e non solo quelle, pur
comprensibili, dei suoi conoscenti,
altrimenti si ricade nel primo e ben meno efficace tipo di
raccomandazione. Far passare una persona
non qualificata per un determinato ruolo per quella migliore a ricoprirlo
genera danni di vario tipo. Di regola, a chi viene assunto, che si trova poi a
dover svolgere lavori che non è in grado di svolgere, a chi lo ha segnalato,
che vede la sua affidabilità compromessa almeno parzialmente e all’azienda che
lo assume, che si trova a dover gestire un lavoratore, per così dire,
problematico.
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